Premetto che, pur essendo Barbie una mia coetanea, non ho mai giocato, né l’ho mai comprata a mia figlia. Nel mantenere una certa distanza dalla bambola Mattel c’è sicuramente il retaggio culturale del periodo storico in cui sono cresciuta. Quello cioè di valutarla come oggetto che supporta un ideale di bellezza corporea stereotipata e non realistica e promuove una concezione modaiola e consumistica.
Ma il film sono andata a vederlo perché mi interessano i fenomeni di cultura pop. E ne sono stata catturata per la sceneggiatura brillante, complessa e su più livelli di significato. Ho molto apprezzato che il film abbia saputo unire detrattori e promotori di Barbie. Non era scontato e l’impresa poteva trasformarsi in una maxi celebrazione della banalità, ma la regista e sceneggiatrice Greta Gerwig l’ha saputo trasformare in un autentico fenomeno “pop cult” che unisce prima che dividere.
In questa analisi mi concentrerò in particolare su due dilemmi centrali della narrazione: quello tra mondo reale e mondo fantastico e quello tra madre e figlia.
(Avviso spoiler!) Quando a un certo punto del racconto Barbie inizia a percepire che le cose stanno andando male per lei, va a consultare l’oracolo, ovvero Weird Barbie, che ha le sembianze deturpate e consumate dal gioco di qualche bambina, ma è saggia e la sa lunga. È lei che sottopone a Barbie la scelta tra i tacchi a spillo rosa o un paio di Birkenstock per entrare nel mondo reale e scoprire la verità.
La scena è spassosissima e ricorda in chiave diversa la scelta tra pillola rossa e pillola blu di Matrix. Le due scarpe rappresentano due mondi: il tacco a spillo è il mondo finto e perfetto di Barbieland, il Birkenstock, nel modello classico Arizona, rappresenta la rottura del sogno e l’inizio della vita reale.
Mi ha molto divertito la rappresentazione di questo dilemma con due calzature! Geniale.
Le Birkenstock e la controcultura
La scelta di utilizzare le scarpe come simbologia per i due mondi è superba. Le Birkenstock negli anni sessanta (quando Barbie inizia a diffondersi) sono state di fatto il contraltare del tacco a spillo femminile. Associate alla controcultura americana degli hippy e, più tardi, alle attiviste che si battevano per i diritti Lgbtq negli anni Settanta, le Birkenstock sono state un simbolo di ribellione.
Con il nuovo millennio si trasformano e iniziano ad apparire nelle passerelle di moda a partire dal 2012 per essere poi acquisite nel 2021 dal gruppo LVMH, polo internazionale del lusso, che ne ha trasformato il vissuto arricchendole con valenze cool. Questo intelligente product placement nel film ne consacra il nuovo posizionamento nel mercato.
Gran parte del conflitto e dell’interesse della trama del film risiede nel dilemma tra Barbieland e il mondo reale. Indossare le Birkenstock nel film significa mettersi nelle scarpe della realtà. E i tacchi alti rendono difficile il cammino tortuoso da compiere. Se il Barbieland è il mondo rosa e stereotipato della felicità, il mondo reale affronta temi complessi, relazioni problematiche, identità personale e libero arbitrio.
Nel mondo reale il rapporto tra madre e figlia è difficile e tormentato. Lo scontro intergenerazionale è sostenuto da codici che fanno fatica a entrare in connessione.
Madre e figlia
Nel mondo reale Barbie incontra due donne. Gloria è la madre di Sasha ed è lei che, per affrontare un periodo stressante di vita reale, ha ripreso a giocare con Barbie, trasferendo sulla bambola pensieri negativi e di morte. La figlia Sasha invece, non solo non gioca più da molti anni con Barbie, ma prova un forte rifiuto per tutto ciò che la bambola rappresenta come falsa promessa di empowerment femminile. Gloria e Sasha vivono un evidente conflitto.
Sarà solo nel Barbieland che madre e figlia saranno di nuovo alleate e capaci di fare la differenza insieme per riportare l’armonia alterata dal machismo di Ken. Gloria è colei che fa il famoso monologo sulla condizione femminile: le donne, cioè, devono essere intelligenti, ma non troppo da intimorire gli uomini; lavorare, ma al tempo stesso essere degli angeli del focolare; essere curate, ma non troppo da sembrare superficiali; essere magre, ma comunque avere delle curve; essere femminili, ma mai provocanti.
Barbie incontra Ruth
Nel film la rappresentazione del rapporto madre-figlia è sostenuta anche dalla relazione Ruth-Barbie. Ruth rappresenta ciò che è più vicino alla madre di Barbie.
Barbie è stata ideata da Ruth Handler, nata nel 1916 a Denver (Colorado), la cui famiglia ebrea era fuggita dalle persecuzioni in Polonia. Ruth ha dato vita alla bambola più venduta nella storia. Il nome Barbie deriva proprio dalla figlia Barbara, a cui la bambola è dedicata.
La prima Barbie, vestita con un costume da bagno in bianco e nero e tacchi, ha debuttato alla Fiera del giocattolo di New York nel 1959. L’idea era di rappresentare una bambola diversa. Prima del suo arrivo, le bambole erano giochi con cui immaginarsi solo nel ruolo di madre e casalinga. Barbie rappresentava una visione diversa della donna, in linea con l’emergente consumismo americano: potevi essere una donna di mondo con tantissimi abiti alla moda.
La Mattel è stata la prima marca di giocattoli a fare pubblicità in tv, cambiando completamente il modo di acquistare i giocattoli e rivolgendosi direttamente ai bambini.
L’autodeterminazione di Barbie
L’incontro con Ruth avviene nel mondo reale in una stanza speciale della Mattel e Barbie è sorpresa ed entusiasta nell’apprendere che in realtà la sua creatrice è stata una donna. Ruth-mamma nel film ha un ruolo di accompagnatrice amorevole all’autoderminazione di Barbie.
“Non mi sento più Barbie”, confessa la bambola, un’affermazione sull’acquisizione di soggettività. Il finale del film ci riporta alla storia di Pinocchio, quando da burattino si trasforma in bambino vero.
Ruth alla fine prende Barbie per mano e le due vengono trasportate in un infinito vuoto bianco. Nonostante Ruth l’avverta che gli umani “hanno un solo finale”, Barbie già lo sa; è stata coinvolta da pensieri di morte da quando è iniziata la sua prova per diventare ordinaria. Ma la sua intenzione è forte. “Voglio essere io a immaginare, non l’idea”, dice a Ruth.
Si tratta di una connessione spirituale tra donne di generazioni diverse. Prendendo la mano di Ruth, Barbie diventa un altro anello della catena infinita di madre e figlia. Diventa umana. L’ultima scena di Barbie che indossa le Birkenstock per scelta e si reca in un luogo conosciuto a tutte le donne ci strappa un sorriso.
Questo perché il film tiene sempre un registro divertente e ironico, solo come un vero “pop cult” sa fare.
Credit Immagini: courtesy of Warner Bros./YouTube